Perché ti auguro di non esser donna

Scritto da: Sara Birgaoanu

domenica, 8 Marzo 2020


Questo che state per leggere è un racconto dedito alla rappresentazione della violenza domestica subita da una donna, vissuto in prima persona e da ricordare non solo durante l’otto marzo ma ogni giorno. Le vicende raccontate non sono realmente accadute, sono frutto della mia fantasia ma una possibile rappresentazione di fatti futuri o in corso di svolgimento.

Non avrei dovuto farlo, non avrei mai dovuto disobbedirgli, avrei dovuto evitare… avrei. Nonostante in precedenza fosse già successo numerose volte non imparerò mai, forse me lo merito. Stringo con insistenza le dita attorno alla tua maglietta, mi appiglio ad essa come se potesse salvarmi. La porto al petto e mi rannicchio su me stessa ripiegando la testa. Vivo in un campo da guerra continuo fatto di mie lacrime e insulti sputati a mezza bocca.

Mi hai strappato via la dignità, la libertà, ora sono solo un oggetto di tua proprietà e mi fai schifo, mi fai schifo perché mi sento intrappolata ogni giorno fra queste mura, col tuo fiato sul collo e l’immensa claustrofobia che mi fai provare ad ogni respiro sfuggito. Fredda e umida una dell’infinita serie di lacrime che corrono sulle mie guance cade a terra, insieme a lei il mio capo si abbandona contro la lavatrice. Che dannata sia la mia stanchezza, che dannata sia io che, infondo, un pò me lo cerco questo dolore.

Sento i tuoi passi lenti e cadenzati avvicinarsi alla lavanderia, il mio fiato segue un ritmo totalmente differente, veloce, pericolosamente affannoso. Quando spingi con delicatezza inappropriata la porta sono ormai preda al terrore, non hai trovato il solito caffè all’ingresso, ne la casa lucidata, la mia presenza qui, con una tua maglietta ancora sporca fra le dita tremanti, è solo una conferma. Non alzo lo sguardo, non reggerei il tuo, così dolorosamente famigliare. Non proferisco parola, stringo con insistenza le dita sulle braccia nude lasciandoci evidenti segni rossi. La maglietta è caduta a terra, sopra le mie lacrime non visibili.

Ti avvicini, anche tu non accenni al minimo suono. Ti sento così vicino, vicino come un tempo desideravo io stessa sentirti. Ricordo la sensazione divina delle tue dita fra i miei soffici capelli, le tue labbra calde sul mio collo, le tue braccia attorno a me. Non potevi passere secondo in mia compagnia senza accarezzarmi, poi, dalle carezze sei passato alle violenze. Le mani che tanto amavo non mi sfioravano più come se fossi una delicata rosa, no, mi violentavano, mi sfregiavano privandomi di tutto. Ti sentivo sempre più incollato a fior di pelle, come ora che stai appoggiando due dita sotto il mio mento costringendomi a guardarti negli occhi. Non stai battendo ciglio, la tua espressione è tranquilla, stai persino sorridendo come se dentro non ribollissi di sadico piacere. Tu godi nel vedermi così, piegata sotto il tuo volere distrutta in anima, e corpo. Pensavo di poter reggere i primi tempi, insomma, è normale che il proprio fidanzato ogni tanto ti rimetta in riga…no? Quando ho iniziato ad oppormi tu mi hai sfregiata con più ardore, come se i miei inutili tentativi di ribellione ti compiacessero.

Mi prendevi fra le tue braccia e mi buttavi per terra, come ora che mi hai strattonato i capelli e conducendo fuori dalla stanza. «Come ti sembra casa nostra?» La osservo in silenzio, non oso risponderti, non oso infrangere l’ultima briciola di orgoglio che mi è rimasta. Le tue dita stringono con più irruenza i miei capelli in un pugno, mi tiri verso di te facendo appoggiare il mio capo alla tua spalla, con un movimento brusco mi afferri con l’altra mano il collo. I segni di ieri sono ancora ben visibili e doloranti, non riesco a trattenere una smorfia di dolore al contatto delle tue dita con essi. Il terrore si congela sul mio viso appena me ne rendo conto, la gola si è prosciugata, gli occhi si sono spalancati all’inverosimile. Tu mi guardi infuriato e inizi ad urlare, urli come hai sempre fatto macchiandomi con parole sporche. Chiudo gli occhi e non li apro più, ti sto sfidando lo so, lo capisco da come i pugni arrivano più volenti sul mio stomaco.

Un grido acuto perfora i miei ed i tuoi timpani, urlo, urlo a squarcia gola, non ti lascerò uccidere anche lui, non il nostro bambini, il mio. Mi fai schifo, vorrei urlartelo ma non posso, ci faresti altro male. Tu questo bambino non lo vuoi, non l’hai mai voluto ma io giuro sulla mia stessa vita che scapperemo da qui, da questo incubo. Non apro mai gli occhi, non vedrò mai il tuo sguardo mentre mi violenti, mi rifiuto di aprire gli occhi mentre diventiamo tutt’uno. Sono la tua schiava, mi dicevi.

Dov’è la mia libertà? Dove sono i miei diritti ora? Mi hai rubato tutto, ed io lo so, lo so. Ma fingerò, continuerò la schiavitù, per me e mio figlio. Hai la clessidra della mia vita fra le tue possenti mani, sono obbligata a servirti. Non una singola persona si è mai accorta di me, di come mi sento. Quando ho parlato non mi hanno creduto, avevi ragione, per tutti sono solo la tua sgualdrina, per le autorità la mia parola non conta nulla, per la mia famiglia ormai da tempo non esisto più. E io spero solo che lui non sia una lei, perché non le auguro tutto questo, non lo auguro a nessuno, nemmeno a te.

Un mondo dove le donne sono emarginate è un mondo sterile, perché le donne non solo portano la vita, ma ci trasmettono la capacità di vedere oltre, loro vedono oltre.

Papa Francesco