Dopo la chiusura della regione Lombardia è finita nelle restrizioni della zona rossa anche la provincia di Lodi, che a partire da marzo aveva già conosciuto simili limitazioni. Ma davvero la situazione è ritornata ad essere come prima? Questa volta l’ondata dei contagi è molto più bassa: dal 23 febbraio all’8 marzo, i casi nella provincia erano passati dai 182 positivi del 29 febbraio ai 2.116 del 31 marzo. In questo periodo, con il picco raggiunto a metà marzo, i casi di coronavirus sono stati 1.934, a fronte di una media di 4mila tamponi al giorno (dati rilevati dai Comuni del Basso Lodigiano). Migliora molto l’andamento nel periodo estivo. Il 30 giugno i casi erano 3.566 mentre il 31 luglio 3.629. Si tratta quindi di una crescita di 63 casi in un mese (con 8.700 tamponi effettuati in media ogni giorno). Fino ad arrivare ai dati degli ultimi giorni. Nel Lodigiano questo inizio di seconda ondata non sta avendo gli stessi effetti di quella nei mesi più duri. Al 30 settembre i casi erano 3.804 mentre al 31 ottobre 5.345: quindi 1.541 casi a fronte però di una media che supera i 28mila tamponi effettuati al giorno. Una situazione che, dunque, si sta tenendo sotto controllo grazie al rispetto delle regole del precedente DPCM. Sorgono infatti molte proteste e malcontenti soprattutto da parte di piccole imprese della provincia, dei luoghi di ristorazione e partite iva che hanno già perso una buona parte di guadagno nel primo lockdown primaverile. Per questo i sindaci di Codogno e Casalpusterlengo hanno già annunciato di non accettare il nuovo lockdown per salvaguardare non solo la salute dei propri cittadini, ma anche la situazione economica. Sorgono infatti molti problemi nel limitare un grande territorio come la Lombardia ugualmente per tutti i suoi punti, senza prestare attenzione alle singole situazioni che possono permettere di rivedere dei provvedimenti ed aiutare coloro che sono in difficoltà.