Eclettici tra 4 mura: la professoressa Vera Zanoni

Scritto da: Andrea Alloisio

mercoledì, 10 Aprile 2019


Nuova vittima della nostra rubrica prof eclettici è la prof. Zanoni, insegnante di lingua e letteratura italiana e storia. Oltre ad essere un’innocente e dolce professoressa è anche un’archeologa che ha dedicato una parte della sua vita agli scavi. Anche oggi non ha smesso di fare questo lavoro attraverso il progetto che, con il prof. Cighetti ,sta portando avanti da qualche anno e che permette a noi studenti di apprendere i segreti di questo mondo.

Domanda: Come ha scelto l’archeologia?
Risposta: Non sono stata io a scegliere archeologia, ma l’archeologia a scegliere me. Mia mamma ricorda che quando a 8 anni ho visto per la prima volta il film “Predatori dell’arca perduta” dissi che da grande avrei voluto fare quello. Il mio desiderio di fare questo lavoro è cresciuto poi quando ho iniziato a studiare, infatti sono sempre stata attratta dalle materie umanistiche, soprattutto storia. Ovviamente poi ho avuto nel corso della mia vita degli incontri molto importanti che mi hanno portato ancora di più ad avvicinarmi all’archeologia. In particolare ricordo la mia
prof di latino e greco al liceo classico, che era archeologa, e la dottoressa Maria Bonghi che è stata mia professoressa all’università e che era ed è ancora una delle più importanti etruscologhe.

D: Qual è stato il suo primo lavoro nei panni dell’archeologa?
R: Il mio primo lavoro di archeologa è stato sull’abitato etrusco di Tarquinia nel 2004. Appena arrivata è stato amore a prima vista. Per sei settimane ho lavorato sullo scavo. Questo lavoro è stato per me sia una crescita dal
punto di vista lavorativo, sia una crescita dal punto di vista personale, perché per tutto il tempo mi sono ritrovata a convivere con altre persone senza mai avere un momento da sola.

D: Quante ore lavorava al giorno?
R: Non c’era un orario preciso. Si iniziava alle 6 e si continuava fino a quando c’era luce. A volte capitava che dopo qualche importante ritrovamento si continuasse a lavorare anche con il buio e con i fari delle automobili puntati per vedere quello che si faceva.

D: In cosa consisteva il suo lavoro?
R: Io dirigevo il settore di scavo, quindi controllavo il lavoro degli operai e degli studenti venuti per imparare a scavare. A questo, però, alternavo delle attività più manuali che potevano essere dal riportare alla luce muri antichi
ad usare un bisturi per recuperare le ossa e i reperti più fragili.

D: Qual è la cosa più strana che le è capitata?
R: Sicuramente la maledizione del bambinello: abbiamo rinvenuto lo scheletro di un bambino senza testa e con le vertebre cervicali appoggiate a un canalino. Questo  doveva servire, probabilmente, a portare il sangue del
bambino in una camera come sacrificio per qualche divinità. Da quel ritrovamento hanno iniziato a succedere cose strane, partendo da forti temporali con grandine fino ad arrivare allo spegnimento di tutte le auto degli addetti agli scavi mentre lasciavano la zona.

D: Qual è il reperto più prezioso che ha recuperato?
R: Accanto allo scheletro di una donna, ho ritrovato un anello d’oro massiccio con incastonata una pietra che doveva servire probabilmente anche da sigillo.

D: Vi è stato rubato qualche reperto?
R: No, ovviamente tutti i reperti mobili venivano trasportati in un luogo sicuro quando non c’era nessuno sullo scavo. Ogni sera poi coprivamo lo scavo con un telo di tessuto “non tessuto” che permetteva di mimetizzarlo con il resto del terreno. Questo per evitare che i tombaroli proseguissero con le attività per trovare dei reperti e portarli via.

D: Com’è mai è passata dall’archeologia all’insegnamento?
R: Io non sono passata dall’archeologia all’insegnamento. Cerco di far convivere le attività di ricerca con quelle di insegnante da quando ho capito che anche insegnare è una mia passione. Infatti finito il dottorato mi è stato
offerto un posto in supplenza e proprio grazie a quello ho compreso quest’altra mia inclinazione.