Concorsi e disoccupazione intellettuale

Scritto da: Stefano Pettinari

lunedì, 27 Aprile 2020


I concorsi pubblici in Italia sono praticamente una riserva di caccia per i disoccupati del Sud. I meridionali partecipano ai concorsi mentre i settentrionali non sono interessati ad un lavoro negli uffici pubblici. Al nord ci sono una miriade di aziende private che attirano di più; mentre gli immigrati hanno ruoli non più appetibili alla popolazione italiana

I concorsi pubblici ha messo, però, in crisi l’Istituto meridionale più forte: la famiglia. Una piaga che ha un nome inquietante: il trasferimento. 

Il guaio è che molto spesso il lavoro che viene offerto non può essere definito tale e non garantisce quel minimo di guadagno che possa consentire a un giovane di vivere una vita autonoma dai genitori o a un padre di famiglia di mantenere la famiglia stessa.

Si concludono gli studi, magari con tanto di laurea, e ci si trova di fronte a un lavoro precario e mal pagato, quando va bene, oppure a collaborazioni che, con la scusa dei famigerati stage o di altri strani contratti, si rivelano essere vere e proprie forme di sfruttamento.

Questa è la Disoccupazione Intellettuale, ovvero che non vengono offerti lavori in base alle proprie conoscenze e in base al proprio titolo di studio, ma in base a ciò che si trova disponibile.

Ma il difficile viene dopo per ricongiungere le famiglie divise. Si va al Nord con la speranza in cuore di starci qualche annetto e poi ritornare. La disoccupazione di queste famiglie è uno dei disagi che concorrono a rendere precaria la società meridionale, un tempo immobile. Intanto le nostre università continuano a sfornare potenziali concorrenti a impieghi pubblici, mentre i migliori vengono prelevati senza concorso dai grandi gruppi del Triangolo industriale. Quando si parla di fuga dei cervelli, in realtà non di fuga si tratta, ma di acquisto dei cervelli.

Ma non solo: l’Italia è l’unico paese europeo dove il tasso di disoccupazione dei laureati è più alto di quello dei diplomati e persino di coloro che hanno conseguito la sola licenza media. Parallelamente è più facile trovare lavoratori con la “terza media” che con un titolo di laurea.

Accontentarsi di bassi livelli di studio non è una soluzione: i giovani devono studiare.

Esiste un luogo comune secondo cui in Italia i laureati sono troppi.
Non è così: si è visto come in realtà il numero di laureati italiani sia di molto al di sotto della media europea, fattore di sicuro svantaggio sia per la nostra economia che per il peso demografico e democratico della rappresentanza istruita giovanile.