History Time: Cesare Terranova

Scritto da: Marco Folli

venerdì, 25 Settembre 2020


Cesare Terranova nacque a Petralia Sottana (Palermo) il 15 agosto 1921.

Tornato dalla guerra e dalla prigionia, entrò in magistratura nell’immediato dopoguerra, nel 1946 dove fu pretore a Messina e a Rometta e infine giudice istruttore a Patti.

Nel 1958 si trasferì al tribunale di Palermo e incominciò a lavorare all’Ufficio Istruzione.

Come giudice istruttore a Palermo, condusse le indagini ed emanò le sentenze istruttorie che portarono al “processo dei 117” a Catanzaro contro Angelo La Barbera(noto mafioso di Cosa Nostra) e al processo contro la cosca di Corleone contro Luciano Leggio a Bari, soprannominata dai giornali “Anonima Assassini”.

Entrambi i processi finirono, tuttavia, in una bolla di sapone, con grande scoramento da parte del magistrato: a Catanzaro la pubblica accusa, rappresentata da Bruno Sgromo, riuscì a ottenere dalla corte, con la sentenza finale del 22 dicembre 1968, soltanto pene irrisorie dai 6 ai 4 anni, peraltro inflitte a imputati a piede libero per scadenza dei termini, e ben 44 assoluzioni per insufficienza di prove; a Bari, forse anche sotto la pressione di minacce e intimidazioni il pubblico ministero Domenico Zaccaria non riuscì a ottenere i 3 ergastoli e i 300 anni di carcere chiesti nella requisitoria e la sentenza finale del 10 giugno 1969 emise, destando maggior stupore che a Catanzaro, ben 64 assoluzioni (per esempio Toto Riina fu condannato solo per il furto di una patente), demolendo del tutto l’impianto accusatorio tracciato in istruttoria.

Una parziale soddisfazione fu data all’impegno di Terranova dalla corte d’appello di Bari che il 23 dicembre 1970, in riforma della precedente sentenza di primo grado, condannò Leggio all’ergastolo per l’omicidio di Michele Navarra. Il brutale boss di Corleone, battezzato “la Primula rossa” per l’abilità con cui sfuggì all’arresto fino al 1974, non perdonò mai Terranova per la tenacia con cui condusse le indagini e arrivò alla sua condanna, arrivando anche a dichiararlo alla stampa e al magistrato in persona, quando venne a interrogarlo in carcere in veste di commissario antimafia.

Come molti anni dopo anche Borsellino, Terranova divenne procuratore della Repubblica a Marsala nell’agosto del 1971: qui raggiunse una discreta fama mediatica allorché dovette occuparsi del rapimento e dell’omicidio di tre bambine per opera di quello che la stampa definì il “mostro di Marsala”. Nonostante la moltitudine di segnalazioni e di pressioni, tese a colpevolizzare un qualunque sospettato, Terranova cercò tenacemente il colpevole e dopo gli attenti riscontri operati dalla polizia sotto la supervisione del magistrato, il colpevole fu arrestato e condannato.

Fu deputato alla Camera, nella lista del PCI, come indipendente di sinistra e fu segretario della Commissione parlamentare Antimafia nella VI Legislatura, durante la quale contribuì, insieme ad altri deputati del PCI a elaborare la relazione di minoranza in cui si criticavano aspramente le conclusioni di quella della maggioranza, nella quale erano sottovalutati i collegamenti fra mafia e politica, e in particolar modo il coinvolgimento della Democrazia Cristiana in numerose vicende di mafia: infatti nella relazione di minoranza redatta da Terranova e dagli altri deputati venivano pesantemente accusati uomini politici di avere rapporti con la mafia.

A riprova della profonda umanità e dell’ardore civile e sociale che animava l’uomo, prima che il magistrato, l’impegno parlamentare di Terranova non fu esclusivamente legato alle attività della Commissione Antimafia: nella VI legislatura fece parte della Commissione Giustizia e della Commissione speciale per l’esame dei provvedimenti relativi agli immobili urbani e alla disciplina dei contratti di locazione. Nella VII legislatura fece parte prima della commissione Difesa e poi di alcune commissioni preposte ad affari interni.

Negli archivi della Camera lo troviamo come primo firmatario di progetti di legge di pubblica utilità, anche se all’apparenza di secondaria importanza, come quello relativo alla proibizione della vendita e del commercio di giocattoli pericolosi per i bambini.

Terminata l’esperienza parlamentare nel giugno 1979 con la fine anticipata della VII legislatura, Terranova tornò in magistratura per essere nominato in luglio Consigliere presso la Corte di appello di Palermo.

Il 25 settembre del 1979 verso le ore 8:30 del mattino, l’auto di scorta arrivò sotto casa del giudice a Palermo per portarlo al lavoro.

Cesare Terranova si mise alla guida della vettura mentre accanto a lui sedeva il maresciallo di Pubblica Sicurezza Lenin Mancuso, l’unico uomo della sua scorta che lo seguiva dal 1963 come un angelo custode.

L’auto imboccò una strada secondaria trovandola inaspettatamente chiusa da una transenna di lavori in corso, il giudice Terranova non fece in tempo a intuire il pericolo che in quell’istante da un angolo sbucarono alcuni killer che aprirono ripetutamente il fuoco con una carabina e delle pistole contro l’auto. Cesare Terranova istintivamente ingranò la retromarcia nel disperato tentativo di sottrarsi a quella tempesta di piombo mentre il maresciallo Mancuso, in un estremo tentativo di reazione, impugnò la Beretta di ordinanza per cercare di sparare contro i sicari, ma entrambi furono raggiunti dai proiettili in varie parti del corpo.

Al giudice Terranova i killer riservarono anche il colpo di grazia, sparandogli a bruciapelo alla nuca. La sua fedele guardia del corpo, Lenin Mancuso, morì dopo alcune ore di agonia in ospedale.

Francesco Di Carlo, di Altofonte, esponente di spicco del mandamento di San Giuseppe Jato, uomo di fiducia di Bernardo Brusca, ha indicato Luciano Leggio, come mandante l’assassinio del magistrato.

Nel 1997 è stato riaperto il procedimento contro altre sette persone, esponenti della cupola palermitana, che diedero il permesso di eliminare il giudice, perché stava per diventare giudice istruttore: tra cui Bernardo Brusca,Salvatore Riina e Bernardo Provenzano.